(Jonathan Wolstenholme, Chess)
Da “Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale“
Per comodità di chi voglia fruttuosamente dedicarsi al lavoro culturale, sarà opportuno raccogliere, a questo punto, tutta una serie di indicazioni circa il problema del linguaggio. C’è infatti un lessico, una grammatica, una sintassi e una mimica che il responsabile del lavoro culturale non può ignorare.
Cominciamo subito, perciò, con il nocciolo della questione, con il termine problema; nonostante la differenza spaziale (alto-basso) dei due verbi il problema si pone o si solleva, indifferentemente; ma c’è una sfumatura di significato, perché “porsi” è oggettiva, cioè sta a dire che il problema è venuto fuori da sé, mentre “sollevare” è attivo: il problema, in questo caso, non ci sarebbe stato se non fosse intervenuto qualcuno a farlo essere.
Quasi sempre il problema, posto o sollevato che sia, è nuovo; e si dà gran merito a chi, accanto agli antichi e non risolti, solleva problemi nuovi e interessanti o meglio ancora, di estremo interesse, purché siano, ovviamente, concreti. Sul problema si apre un dibattito. Dibattito è ogni discorso, scritto a parlato attorno a un certo argomento un certo problema in cui intervengono due o più persone. Il dibattito, oltre che concreto e più spesso che concreto, è ampio e profondo, anzi, approfondito, e quasi sempre si propone un’analisi (approfondita anch’essa) della situazione. La giustezza della nostra analisi sarà poi confermata, invariabilmente, dagli avvenimenti. La situazione è sempre nuova e creatasi (da sé, parrebbe) con o dopo.
Al dibattito gli interventi portano un utile contributo. Essa può assumere anche la forma di convegno: in questo caso è parlato, gli interventi sono numerosi, e gli intervenuti sono giunti da ogni parte d’Italia. Dal dibattito scaturiscono, oppure emergono o anche, più semplicemente, escono, alcune indicazioni.
Le indicazioni sono anch’esse utili. Se possono esprimersi in una breve frase, allora si chiamano parole d’ordine. Per esempio: Per un / per una (cinema, teatro, romanzo, arte, cultura, scuola, pittura, scultura, architettura, poesia) nazionale e popolare. In caso contrario quando cioè le indicazioni non abbiano questo potere di contrazione espressiva, si parlerà di tutta una serie di iniziative, utili, naturalmente, e concrete, ma di massima, suscettibili cioè di elaborazione,
Concreto, come si è visto, è il problema, il dibattito, l’intervento e l’indicazione. A memoria d’uomo non si è mai saputo di un problema, dibattito ecc. che si sia potuto definire astratto, Come non si è mai saputo di un problema risolto; semmai superato, dalla situazione creatasi con o dopo. A volte poi si è scoperto che il problema, pur essendo concreto, non esisteva. In casi simili basta affermare che il problema è un altro.
La scelta dei problemi si chiama problematica quella dei temi, tematica. Ricordo che una volta, a Firenze, discussero tre ore su questo problema concreto; se fosse necessario porsi prima il problema della problematica oppure quello della tematica. Un problema è anche, spesso, di fondo, Esso si adeguerà alle prospettive, nuove e concrete, di lotta, per o contro.
Lotta, anzi lotte, è l’azione quando incontra un ostacolo, altrimenti l’azione è pura e semplice attività. Ma tanto per le lotte che per l’attività si mobilitano tutte le forze, si toccano larghi strati, o larghe masse, si estende l’influenza, ci si pone alla testa e ci si lega anche strettamente. Al servizio della lotta si pongono le proprie capacità.
A volte le cose non sono così semplici; ma il dibattito ha appunto l’ufficio di indicare gli inevitabili difetti, determinati dalla situazione. I difetti consistono quasi sempre nel non aver sufficientemente utilizzato, elaborato, applicato le indicazioni emerse da un esame autocritico. Ogni dibattito assolve anche a questa funzione.
Accanto al problema, ma un po’ più sotto, c’è l’esigenza. L’esigenza si sente, anzi, si è sentita, A volte sorge, o meglio, è sorta, ed in ambedue i casi occorre andarle incontro. Problema ed esigenza riguardano a volte i rapporti con.
Con gli intellettuali, per esempio.
Sono uno che si dimentica tutto.
uno che si è dimenticato cosa significa andare dal parrucchiere.
Sono uno che ride da solo.
Sono uno che non piange da solo.
Sono uno che odia le cose preconfezionate.
Sono uno a cui piace smontare le cose.
Sono uno a cui piace anche rimontarle, le cose.
Sono uno a cui non piacciono i dolci, ma la panna montata sì.
Sono un montato, come la panna, ma ho superato i 33 anni, quindi sono rancido.
Sono uno che non si entusiasma mai, oppure che si entusiasma troppo.
Sono uno a cui piace conoscere la gente rotta.
Sono uno che si rompe in fretta della gente che non ha dubbi.
Sono uno a cui piace il silenzio senza gli imbarazzi del silenzio.
Sono uno a cui piace ascoltare il fondo del mare.
Sono uno a cui piace guardare il fondo del bicchiere.
Sono uno a cui piace toccare il fondo.
Risalire, anche risalire mi piace, ma per arrivare alla cima ci sono molte strade, e io sono ancora fermo all’incrocio.