… e grazie per tutto il pesce

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California.

Una coppia divorziata che, dopo una drammatica vicenda che l’ha vista coinvolta, si ritrova.
La famiglia riunita, un nuovo inizio.
Ma lui ha ancora dei fantasmi che arrivano dal passato. Anzi da New York.
Tornano lì, in aereo, ma una tempesta costringe i piloti a un atterraggio di emergenza, metà dei passeggeri muore, lei perde una mano. Lui le sta accanto, in ospedale. Si amano.
Ma qualcosa di grave, più grosso di loro, incontrollabile, è nell’aria. Lei sa che lui deve andare, deve risolvere i conti in sospeso col passato: un cognato con cui non parla da vent’anni, con grande dolore della sorella; un vecchio amore, pure, che lui credeva sopito per sempre.
Lui deve andare, e mettere in salvo i suoi cari, nella Grande Mela.
La sorella è in visita alla Statua della Libertà, il cognato a una partita di Baseball.
La tempesta è tutta intorno.
Avvisa la sorella che corre al primo traghetto con la figlia e alcune amiche.
Poi il nostro corre allo stadio e mette in salvo il cognato, con l’altro figlio e dei vecchi compagni di liceo: c’è anche lei, la sua antica fiamma. C’è un bacio ma lui non può, lui è tornato con sua moglie.
Non c’è tempo per altro, la tempesta è in arrivo, il traghetto corre sull’acqua ma una delle donne non sopravvive.
Sulla terraferma tutti fuggono dallo stadio e si riversano nella metropolitana. Gli operai che lavorano perché questa non si allaghi muoiono divorati dal fenomeno in atto.

Così se ne vanno i primi cinquanta minuti di un film in cui la mano della moglie del protagonista e gran parte dell’equipaggio e dei passeggeri dell’aereo sono divorati da squali, in una tempesta di squali, Sharknado, l’ho fatto ancora.

Il primo era un normale film brutto sui grossi pesci, il secondo è un capolavoro. Come un buon porno, è onesto e cavalca il proprio genere esagerando tutto.

La testa della Statua della Libertà decolla, è il caso di dirlo, e rotola per le strade di Manhattan, ce l’ha portata la tempesta, anzi: una “tromba marina coi denti”, lo dicono davvero.
Gli operai che lavorano alla metro se li mangia un coccodrillo, il coccodrillo se lo mangia uno squalo.

Fin, il nostro protagonista, deve salvare la città, ma non ci sono armi nella Mela, sono proibite. Lo spirito americano è forte e in perfetto mood DIY fionde e lanciafiamme sono il frutto di grossi elastici e pistole ad acqua… vuoi poi non trovare una spada medievale dall’antiquario.
Mancano otto minuti all’impatto definitivo della tempesta, ma c’è ancora tempo per una scenata di gelosia della moglie “mono-mano” a Fin, quando lei scorge la vecchia fiamma tra la folla.
Immancabile lieto fine e, a eliminare l’altra donna, ci pensa uno squalo.

Mono-mano, ho detto, ma il DIY è di famiglia e con tempi di recupero che Alex Zanardi, chi sei, levati, la moglie sostituisce l’arto con una sega circolare – un po’ il mio sogno: sostituire la mano destra con un minipimer.

Le seghe, pare, sono di famiglia: anche Fin ritrova l’amica motosega del primo film e – CTRL C, CTRL V – rientra e riesce da uno squalo, come nel volume 1.

Lo ritroviamo in volo nella tromba d’aria. Come farà il nostro a non schiantarsi a terra!
Presto detto e presto fatto: appare una catena nell’aere, gli squali abbondano; seghe, nel senso di fai da te, quanto ne vuoi… basta cavalcare uno squalo e fare redini della catena.

Tutto è bene quel che finisce bene, Fin atterra sul tetto di un grattacielo, lì lo aspetta la moglie ma, finita la tempesta, odo squali far festa o, meglio, piovere dal cielo.
Fortuna vuole che un pescione ucciso poco prima dalla moglie con la sua nuova mano a motore avesse appena mangiato, e non digerito, il braccio di una donna che portava una pistola e un brillocco all’anulare.
Sei colpi sufficienti a uccidere gli squali in caduta e l’anello – il braccio non serve più e viene finemente lanciato – è perfetto per una proposta di seconde nozze, romanticissimo insomma.

Un film che supera senza se e senza ma il primo. Nulla batte un film brutto che non sa di esserlo, ma la totale, onesta e consapevole bruttezza di questa pellicola è in grado di toccare i cuori più duri, non foss’altro per la riesumazione di Ian Ziering.
E con la presenza di Mark McGrath degli Sugar Ray: negli anni novanta idolo delle ragazzine, oggi con tutta evidenza idolo dei chirurghi plastici.
Colonna sonora molto Ramones ma con testi più profondi: shark shark shark sharknadoooooo.

Non temerò più gli squali in spiaggia, ne avrò paura anche in città e in campagna.
E insomma… io aspetto il terzo.

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