Albert Einstein l’aveva prevista nel 1916, l’esistenza delle onde gravitazionali, all’interno della sua Teoria Generale della Relatività: gli oggetti che hanno una massa deformano lo spaziotempo, proprio come un ippopotamo seduto su un letto deforma un materasso. Cosa c’è di più malinconico di un ippopotamo che sprofonda con le sue chiappone su un materasso?
La risposta è semplice: tanti ippopotami che sprofondano con le loro chiappone su un enorme materasso.
Lo spaziotempo è come un materassone di lattice dove stanno poggiati i culoni di tanti ippopotami. Ippopotami malinconici che noi chiamiamo pianeti, stelle, e tutte quelle altre robe lì. La malinconia invece è quella cosa invisibile che quando sei un po’ pesante e ti ci appoggi, ti affossa il tanto che basta da creare una nicchietta, un piccolo avvallamento che mentre ti vende l’illusione d’essere protetto, ti rallenta e condiziona te e lo spazio che ti circonda. Lo spaziotempo, a guardar bene, avremmo il diritto di considerarlo a tutti gli effetti un sinonimo della malinconia, perché ci condiziona esattamente nello stesso modo; e dato che “considerare” deriva da cum + sidera (con le stelle) e, originariamente, significava “divinare”, cioè profetizzare, interpretando le stelle, ne consegue, converrete con me, che l’atto stesso del considerare sia da sempre una pratica legata all’universo.
Tutto l’universo in effetti è un grande gioco di malinconia: il solo fatto che i nostri occhi guardino la luce di un prato di stelle che non esistono più e che anche il nostro sole ci arriva con 8 minuti di ritardo dovrebbe bastare ad eleggere l’universo a fondatore della malinconia. Che, come già detto sopra, imita lo spaziotempo.
In un sistema solare, la stella attorno a cui orbitano i pianeti è di solito l’oggetto più pesante nei paraggi e crea un’enorme deformazione dello spazio che ha intorno, e di conseguenza condiziona il movimento dei pianeti che le sono vicini. Enormi oggetti che si guardano da lontano, che continuano a girarsi attorno come i cani prima di annusarsi, ma che non si annusano mai, attratti da forze contrastanti nella speranza di toccarsi, ignari del fatto che l’universo, nel mentre, si espande. Sbaglio o vi è familiare, cari malincronici? Si lo so che a voi piacciono i meteoriti, bizzarri, scapestrati esseri che sfidano il sistema per poi schiantarsi sulla prima luna o bruciare a contatto con un’atmosfera dopo aver vissuto la vita un quarto di miglio alla volta: ma i Baricchi, Coheli e Foster Wallaci che la maggior parte di voi conosce con lo pseudonimo di Fabio Volo, cosa sono se non la stella che deforma il vostro spicchio di universo?
Poi ci sono i buchi neri. Ma quelli li spieghiamo un’altra volta.
Sono uno che si dimentica tutto.
uno che si è dimenticato cosa significa andare dal parrucchiere.
Sono uno che ride da solo.
Sono uno che non piange da solo.
Sono uno che odia le cose preconfezionate.
Sono uno a cui piace smontare le cose.
Sono uno a cui piace anche rimontarle, le cose.
Sono uno a cui non piacciono i dolci, ma la panna montata sì.
Sono un montato, come la panna, ma ho superato i 33 anni, quindi sono rancido.
Sono uno che non si entusiasma mai, oppure che si entusiasma troppo.
Sono uno a cui piace conoscere la gente rotta.
Sono uno che si rompe in fretta della gente che non ha dubbi.
Sono uno a cui piace il silenzio senza gli imbarazzi del silenzio.
Sono uno a cui piace ascoltare il fondo del mare.
Sono uno a cui piace guardare il fondo del bicchiere.
Sono uno a cui piace toccare il fondo.
Risalire, anche risalire mi piace, ma per arrivare alla cima ci sono molte strade, e io sono ancora fermo all’incrocio.