Solo un evento del genere era riuscito a riunirci dopo tanto tempo.
Ero in macchina, una Mercedes, per la precisione; automobile spaziosa ed elegante come quelle che si usano in queste occasioni.
Al volante c’era Andrea Milia, in abito scuro, anello d’oro al mignolo.
Davanti alla chiesa Claudio Corongiu; in divisa, occhiali quadrati da sole sugli occhi, forse per nascondere l’emozione. Era identico, come i suoi capelli, eterni e solidi come un blocco di marmo. Claudio era Colonnello della marina.
Si stavano avvicinando le undici, ora in cui sarebbe dovuta iniziare la messa; arrivò Mauro, e subito dopo Giovanni Peralta, in abito scuro sebbene con le scarpe da tennis… ma, con uno sguardo da schizzato come il suo c’era da aspettarselo. Ora Gianni aveva uno studio ginecologico; lavoratore indefesso, non c’è che dire. Forse se avesse lavorato di meno non avrebbe perso tutti i capelli, pensai.
Entrammo in chiesa.
Nelle panche c’erano praticamente tutti, i miei vecchi compagni di classe.
In prima fila c’era Enrico Atzeri, capelli lunghi fermati da una bandana, abbronzantissimo, forse un po’ incartapecorito dal sole, per la sua età.
Già, perché lui ora viveva in Jamaica e, se avesse potuto, credo mi avrebbe fatto vedere subito il tatuaggio di una foglia che ora gli copriva la spalla.
Affianco ad Enrico brillava la pelata di Fabio; ora aveva il pizzetto anche se, a dire il vero anche alle superiori stava tentando di coltivarselo.
Adesso lavorava per un’agenzia assicurativa. (l’avessi saputo prima!)
“E’ strano come il tempo cambi le persone” pensai, vedendo poi Fabio De Pascale con tutti i capelli bianchi legati in un codino alla Amedeo Minghi mentre all’entrata della chiesa si accendeva una sigaretta, rimproverato al telefonino dalla moglie per non aver rifatto il letto.
In seconda fila c’erano Mauro, elegantissimo, occhiali da vista, barba curata e rada e Cappai, con una maglietta “ITALIANS DO IT BETTER” forse indossata con una punta d’ironia per i suoi tempi passati.
Si era seduto accanto a Mauro dicendo “ciao Ingegner Soddu” , sapendo benissimo che invece lavorava alla SARAS come tecnico.
Affianco a loro due, Muscas insieme a Marta. Loro avevano aperto una palestra già da parecchi anni. Già, perché l’anno dopo il diploma si erano sposati in fretta e furia con grande sorpresa di tutti.
Sorpresa che era passata otto mesi dopo quando Luca era diventato Papà.
C’era anche Zuddas, muscolosissimo:
detto anche il “Tyson di Elmas” era campione mondiale di braccio di ferro.
Erano le 10:45.
La messa sarebbe iniziata a momenti, ma parlavano tutti. Le ragazze piangevano. “Le ragazze…”, ormai erano donne, ma dopo il liceo pare che il tempo si blocchi e anche se ora avevano quasi quarant’anni per me erano sempre rimaste le mie compagnette di classe.
Silvia e Milena non c’erano. Come al solito; sarebbe anche stato strano vederle al di fuori della classe. Forse Milena era a casa a guardare Baywatch. Chissà.
Entrò il prete. Alto, biondiccio col pizzetto. Marco Fadda che con i suoi 130 kg. di peso era rimasto seduto fino ad allora si alzò e disse a Francesca Matta, che gli stava affianco “sembra Davide” provocandone un pianto scrosciante e facendo si che io mi rigirassi nella bara perché quel prete era Seu, ed essere paragonato a lui mi dava un certo fastidio.
Si aprì la porta della chiesa ed entrò Claudia Loddo. Magra, curata, in Tailleur grigio, era diventata un’elegante signora di 60 anni. Peccato che ne avesse 39. Arrivata come al solito in ritardo si affrettò a prender posto e assistette alla messa sino alla fine, quando Enrico, finita la liturgia si avvicinò alla mia bara. E lì si mise a parlare con Andrea Piras, ora docente di Filosofia all’università, il quale rivoltosi ad Enrico, non poté mancare di dire “era destino”, e si incamminò verso l’uscita dove Andrea Milia aspettava, impaziente, per portarmi a Bonaria, mia nuova ed eterna casa.
Ho ritrovato questo racconto per caso, pareva brutto lasciarlo nascosto tra fogli e scartoffie.
Sono uno che si dimentica tutto.
uno che si è dimenticato cosa significa andare dal parrucchiere.
Sono uno che ride da solo.
Sono uno che non piange da solo.
Sono uno che odia le cose preconfezionate.
Sono uno a cui piace smontare le cose.
Sono uno a cui piace anche rimontarle, le cose.
Sono uno a cui non piacciono i dolci, ma la panna montata sì.
Sono un montato, come la panna, ma ho superato i 33 anni, quindi sono rancido.
Sono uno che non si entusiasma mai, oppure che si entusiasma troppo.
Sono uno a cui piace conoscere la gente rotta.
Sono uno che si rompe in fretta della gente che non ha dubbi.
Sono uno a cui piace il silenzio senza gli imbarazzi del silenzio.
Sono uno a cui piace ascoltare il fondo del mare.
Sono uno a cui piace guardare il fondo del bicchiere.
Sono uno a cui piace toccare il fondo.
Risalire, anche risalire mi piace, ma per arrivare alla cima ci sono molte strade, e io sono ancora fermo all’incrocio.