LA DANZA DELLE OLOTURIE

Immagina una giornata al mare.

Immagina di nuotare nel mare limpido, trasparente.

Immaginati di essere felice, con indosso la tua maschera e le tue pinnette nuove.

Di colpo vedi l’acqua diventare opaca, sfocata. Pensi si sia appannata la maschera ma non è così: c’avevi sputato bene, prima di indossarla -dici tra te e te- e se ci sputi si sa, non si appanna.

Non sai spiegarti cosa stia succedendo e preso da uno strano senso di smarrimento ti fermi, alzi lo sguardo e guardi il mondo sopra di te: non è appannato. La maschera è ok.

Continui a nuotare, ma poi le vedi.

Sono lì a migliaia, sul fondo, dritte dritte, felici.

In quel momento capisci. Capisci di essere in un brodo di primordiale fecondità: dentro il grande bukkake del mare.

 

In caso di pericolo, l’oloturia (o cetriolo di mare) si divide in due: dà un sé in pasto al mondo, e con l’altro fugge. Si scinde in un colpo in rovina e salvezza, in ammenda e premio, in ciò che è stato e ciò che sarà. Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso con due sponde subito estranee. Su una la morte, sull’altra la vita. Qui la disperazione, là la fiducia. Se esiste una bilancia, ha piatti immobili. Se c’è giustizia, eccola. Morire quanto necessario, senza eccedere. Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato.
Wislawa Szymborska
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